
Solo il 10% dei rifiuti delle demolizioni viene riciclato
I dati in merito al riciclo nel settore costruzioni e demolizioni sono allarmanti: in Italia, in questi ambiti, la circular economy non ha portato i risultati sperati. Quel che emerge è un quadro desolante: circa il 90% dei rifiuti provenienti da smantellamenti e strip out non viene adeguatamente riciclato ma semplicemente inviato in discarica senza un preliminare smistamento.
Le cause principali, purtroppo, sono da attribuire a procedure burocratiche complicate e lunghe, scappatoie illegali, ritardi legislativi.
Il problema si presenta quindi come grave, esteso, un problema che porta danni non solo all’ambiente ma anche all’economia di settore.
Nel convegno “Edilizia e infrastrutture: i rifiuti come materie prime” tenutosi il 9 marzo 2017 alla Camera dei Deputati e organizzato dalla Commissione Bicamerale d’inchiesta sui rifiuti e dal Centro Materia Rinnovabile, sono state presentate alcune possibili modalità di risoluzione del problema.
Il 30% dei rifiuti speciali in Italia è rappresentato da rifiuti edili provenienti da demolizioni e stando ai dati ufficiali (Eurostat 2012) il riciclo italiano si aggirerebbe intorno al 70%.
Tuttavia, è evidente che queste stime sono profondamente influenzate dalla quota di lavorazioni in nero nel momento in cui si confrontano con quelle di altri paesi europei come i Paesi Bassi.
Secondo i dati Uepg (Union Européenne des Producteurs de Granulats), la capacità di recupero italiana sfiorerebbe a malapena il 10%.
La domanda a questo punto sorge spontanea…dove finiscono questi rifiuti?
La risposta è difficile:
- Il sistema di censimento dei rifiuti da demolizione e costruzione subisce continui cambiamenti di regole e soprattutto per le piccole imprese le analisi per il riutilizzo del materiale sono molto onerose rispetto all’invio in blocco del materiale in discarica
- Un altro grande scoglio da superare è la concorrenza sleale delle imprese che lavorano in nero con operai non assicurati e poco qualificati
- Altro dato da non trascurare è quello delle cave attive in Italia: ad oggi sono 4.800 e le stesse imprese che favoriscono il lavoro in nero si rivolgono all’acquisto di materiale naturale, molto meno costoso del materiale riciclato.
Tuttavia adottare un piano per risanare questa ferita è possibile. Come?
Una proposta potrebbe essere quella di usare i macchinari di lavorazione degli inerti presenti nelle cave attive, per trasformare i materiali provenienti dalle demolizioni.
Un’altra soluzione potrebbe essere la creazione di un network tra le aziende del settore per collaborare alle soluzioni tecniche, per coordinarsi sulle richieste economiche e sull’adeguamento normativo, indispensabile per dare slancio alla circular economy.