
Terre da scavo: al vaglio del Consiglio dei Ministri le nuove modalità di riutilizzo
In che modo potranno essere riutilizzate le terre e le rocce da scavo diventerà presto legge, quando cioè il Consiglio dei Ministri approverà in via definitiva quella che al momento è la bozza di regolamento che riscrive la disciplina dei materiali estratti durante le attività di scavo secondo quanto previsto dal Decreto Sblocca Italia (DL 133/2014).
Il testo, approvato in via preliminare, riunisce in un’unica norma la disciplina sulla gestione delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti, categoria in cui rientrano tutti i materiali che dopo essere stati estratti possono essere riutilizzati in un altro processo produttivo.
Superando alcune lacune segnalate dagli operatori del settore in merito al DM 161/2012, che al momento costituisce il riferimento per il riutilizzo delle terre e rocce da scavo, il nuovo regolamento introduce procedure e riferimenti normativi semplificati.
In generale il testo introduce procedure più spedite, simili alla segnalazione certificata d’inizio attività (Scia), per capire se le terre e rocce da scavo estratte dai cantieri sono sottoprodotti e quindi possono essere riutilizzati. Per la riutilizzazione non sarà più richiesta l’approvazione espressa del piano di utilizzo ma decorsi novanta giorni dal deposito del piano presso l’Autorità competente si formerà il silenzio assenso. Allo stesso tempo, grazie al ricorso alle autocertificazioni, diventerà più facile apportare modifiche e prorogare il piano di utilizzo.
Il regolamento prevede l’esclusione dalla nozione di terre e rocce da scavo dei residui delle lavorazioni dei materiali lapidei. Questo, si legge nella relazione illustrativa, consentirà loro di rientrare nella disciplina generale dei sottoprodotti. Al momento, infatti, per le loro caratteristiche questi prodotti non rientrano appieno in nessuna disciplina e creano difficoltà per la loro gestione e riutilizzo.
Sarà escluso dalle norme sulle terre e rocce da scavo il riutilizzo dei materiali derivanti dalle attività di demolizione degli edifici o di altri manufatti preesistenti. Il testo spiega che questi materiali devono essere regolati dalla Parte IV (Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati) del Codice Ambiente (D.lgs. 152/2006). Almeno fino a nuovo ordine, questi materiali non potranno quindi essere riutilizzati.
Si tratta di un argomento che ha creato dubbi e contenziosi, al termine dei quali anche i giudici sono arrivati a conclusioni analoghe, spiegando che si possono riutilizzare solo i materiali derivanti da un processo produttivo, cioè da un’attività finalizzata alla produzione di un manufatto, non da una che ha come obiettivo la sua distruzione. D’altra parte anche il Codice Ambientale qualifica come sottoprodotti i materiali derivanti da un processo produttivo e prevede che un oggetto cessi di essere considerato “rifiuto” quando esiste una domanda di mercato specifica. Fino a che non si creerà uno specifico mercato per il riciclo dei materiali derivanti dalla demolizione, questi non potranno quindi essere riutilizzati. È proprio su questo punto che intervengono i suggerimenti di Legambiente. Per ridurre l’impatto sull’ambiente, l’associazione punta, infatti, sul riciclo dei materiali provenienti dal settore delle costruzioni.