
Le statue dei Buddha di Bamiyan. Quando la religione fa rima con distruzione
Sono passati più di dieci anni, ma questo “delitto” è purtroppo ancora impunito. Ecco la storia delle statue dei Buddha di Bamiyan.
L’Afghanistan è sempre stato un territorio particolare, penalizzato negli ultimi anni dal regime talebano, da Osama Bin Laden e i suoi “fratelli”. Un tempo invece, prima di questi integralisti, era un territorio dove convivevano numerose religioni, non ultima quella buddista.
Proprio dei fedeli buddisti era il merito della costruzione delle statue di Bamiyan, nell’omonimo territorio a circa 250 km dalla capitale Kabul. Queste due antiche rappresentazioni del Buddha – alte rispettivamente 38 e 53 metri – erano presenti nella valle di Bamiyan da oltre 1500 anni, un patrimonio turistico invidiabile. Questo era il pensiero, tra gli altri, del Mullah Omar, guida spirituale del paese dal 1996 al 2001 e criminale braccato dai servizi segreti oggi, diventato una specie di mito per la resistenza talebana contro il nemico occidentale.
“Il governo considera le statue di Bamiyan un esempio di una potenziale grande risorsa turistica per l’Afghanistan, e quindi dichiara che il sito di Bamiyan non dovrà essere distrutto ma protetto.”
Forte del fatto che le statue non minacciavano il credo islamico – i buddisti non sono più presenti in Afghanistan da secoli – nessuno avrebbe mai potuto immaginare il repentino cambio di opinione dello stesso Mullah Omar. Improvvisamente, nel marzo del 2001, dichiarò le statue fuorilegge e con un decreto ne sancì l’abbattimento.
“In base al verdetto del clero e alla decisione della Corte Suprema dell’Emirato Islamico, tutte le statue in Afghanistan devono essere distrutte. Tutte le statue del paese devono essere distrutte perché queste statue sono state in passato usate come idoli dagli infedeli. Sono ora onorate e possono tornare a essere idoli in futuro. Solo Allah l’Onnipotente merita di essere adorato, e niente o nessun altro.”
Dietro questa insensata decisione c’era l’interesse di una società occidentale che aveva offerto al governo molti milioni di dollari per restaurare le statue. La folle giustificazione del Mullah – pronunciata in un’intervista del 2004 – fu la seguente:
“Io non volevo distruggere i Buddha di Bamiyan. In realtà alcuni stranieri vennero da me e dissero che loro avrebbero voluto restaurare le statue che erano state lievemente danneggiate a causa delle piogge. Questo mi scandalizzò. Pensai “questa gente insensibile non ha riguardo delle migliaia di esseri umani che muoiono di fame, ma sono così preoccupati per oggetti inanimati come i Buddha.”
Senza chiedersi i motivi per cui quelle migliaia di esseri umani morissero di fame, il Mullah Omar scelse la facile via della distruzione. Facile per modo di dire. Impreparati e incompetenti, i guerriglieri afgani tentarono di distruggere le statue a cannonate, incontrando una strenua resistenza da parte delle stesse, scolpite nella dura roccia. Dopo un mese di lavoro, e molti chili di dinamite sprecata, i talebani ottennero il loro scopo.
Oggi le statue di Bamiyan rappresentano il simbolo della distruzione insensata del regime talebano in Afghanistan. Diventate patrimonio dell’UNESCO dal 2003, si parla da oltre dieci anni di ricostruire almeno la statua più piccola, utilizzando i resti della demolizione, ma di passi concreti in avanti non se ne sono fatti. Un’avveniristica richiesta – fatta a uno scultore giapponese – per ricostruirle in 3D non ha avuto seguito.
Rimane lo sfregio. Rimane il ricordo. Nulla più.